6
Feb
2014

Re degli Orchi (4 di 4)

Re degli Orchi
Una sto­ria d’amore
Par­te 4 di 4
Capi­to­lo 7

Non è impor­tan­te sta­bi­li­re se sarò il pros­si­mo. Pro­ba­bil­men­te, sono già mes­so peg­gio di tut­ti gli esem­pi cita­ti. Maga­ri non voglio pen­sa­re a quel che pen­sa di me la gen­te. Colo­ro che ho dipin­to in toni sep­pia ed ho svil­la­neg­gia­to sono i miei ami­ci, le per­so­ne a cui ten­go di più, colo­ro che fre­quen­to. Il ritrat­to pate­ti­co che ne ho fat­to è, da mol­ti pun­ti di vista, una men­zo­gna: non una rap­pre­sen­ta­zio­ne fede­le, ma una grot­te­sca caricatura… 
I miei ami­ci sono intri­gan­ti ed enig­ma­ti­ci, intel­li­gen­ti e buf­fi: inol­tre, il loro equi­li­brio è per­fet­to. Andy si è appe­na spo­sa­to; Mike lo farà pre­sto. Andy ha pro­ba­bil­men­te per­so 45 chi­li dai tem­pi in cui quel video imma­gi­na­rio fu "gira­to". Dave è tor­na­to a WoW per­ché Zarq ha ripre­so di sua spon­ta­nea ini­zia­ti­va. Inol­tre, cre­do pas­si più tem­po di me insie­me a per­so­ne in car­ne ed ossa (inu­ti­le spe­ci­fi­ca­re che si vedo­no per gio­ca­re a Magic The Gathe­ring, ma comunque…).
Eppu­re, la nostra cul­tu­ra (e Megan, ed io) è pie­na di pau­ra, incer­tez­za e dub­bi sul­la gen­te come me e come loro. Quan­do li incon­tro, que­ste orri­bi­li, ingiu­ste idee che ho su di loro spa­ri­sco­no, ulu­lan­do, dal­la mia men­te. Per­ché non impor­ta quan­ta fidu­cia abbia in loro: c’è sem­pre una par­te di me che pen­sa: «Guar­da, per l’amor di Dio…». E, a pre­scin­de­re da quan­ta fidu­cia abbia in me stes­so, che si chie­de se gli altri pen­si­no lo stes­so di me.

Capi­to­lo 8

Mi ren­do con­to che esi­ste un peri­co­lo rea­le die­tro quel­la pau­ra; pos­so vede­re il pre­ci­pi­zio davan­ti a me. È que­sto ad aver­mi fat­to abban­do­na­re WoW. Cio­no­no­stan­te, insi­sto sul fat­to che non deb­ba esse­re per for­za così. In fon­do, sono indi­gna­to. Insi­sto per­ché mi si accet­ti così come sono. Insi­sto per­ché esse­re me stes­so sia leci­to al 100%. Ed insi­sto che ci sia un equi­li­brio, anche se io non l’ho anco­ra trovato.
Quest’estate, Megan ed io abbia­mo tra­slo­ca­to nel­la nostra pri­ma vera casa, una fie­ra barac­ca con un incre­di­bi­le poten­zia­le. Pri­ma che il lavo­ro esti­vo di Megan ini­zias­se, bru­cia­va­mo dal desi­de­rio di ristrut­tu­ra­re, ridi­pin­ge­re, aggiu­sta­re, ripu­li­re ed apri­re i pac­chi. Poi, Megan ini­ziò a lavo­ra­re di pome­rig­gio. Lei anda­va a lavo­ro, ed io ini­zia­vo ad apri­re i pac­chi, nel­la spe­ran­za di riu­sci­re nell’impresa di libe­rar­me­ne pri­ma che lei doves­se tor­na­re agli stu­di, alla fine dell'estate. O meglio, avrei ini­zia­to ad apri­re i pac­chi, se non fos­si sta­to inter­rot­to da pro­fon­di ragio­na­men­ti su come accu­mu­la­re i Distin­ti­vi del­la Giu­sti­zia neces­sa­ri per acca­par­rar­mi quel­la fighis­si­ma cin­tu­ra magi­ca su cui ave­vo posa­to gli occhi, maga­ri met­ten­do insie­me un grup­po, diri­ger­mi a Bota­ni­ca per gua­da­gna­re repu­ta­zio­ne Sha’tar e…
E poi Megan tor­na­va a casa, ed io non ave­vo fat­to nien­te, e lei attin­ge­va alle sue tita­ni­che riser­ve di pazien­za per non get­tar­mi dal­le sca­le. Mi sen­ti­vo un ver­me, lei si sen­ti­va ade­gua­ta­men­te fru­stra­ta, ed io pen­sa­vo: «For­se dovrei smet­te­re». E, dopo un mese di que­sta rou­ti­ne, di dol­ce far nul­la, ho smesso.
È que­sta la par­te inquie­tan­te: for­se il mio equi­li­brio nasce dall’arrendermi, dal­la mia con­sa­pe­vo­lez­za che il desi­de­rio di gio­ca­re mi ter­rà (ed ha tenu­to) sve­glio fino alle tre del mat­ti­no a fare scor­ri­ban­de per Mecha­nar, men­tre mia moglie dor­me dell’altra stan­za; mi ren­de­rà trop­po spa­ven­ta­to dal mon­do per affron­ta­re la pagi­na bian­ca, trop­po occu­pa­to per bada­re a mia moglie, men­tre affo­ga nel mon­do in cui io l’ho tra­sci­na­ta. For­se ciò che mi sal­va è che ne sono coscien­te, e quin­di pos­so cam­bia­re dire­zio­ne. Sup­pon­go che la mia for­za sia costi­tui­ta dall'indisponibilità di Megan ad abban­do­nar­mi ad Azeroth.
Se que­sta è la mia for­za — se mi sono sal­va­to per­ché ho smes­so — la mia lamen­ta­zio­ne è que­sta: devo ren­der­mi con­to del­la mia capa­ci­tà di esse­re con­su­ma­to, del mio desi­de­rio di cede­re, e del­la con­sa­pe­vo­lez­za di non poter­lo fare. Sup­pon­go che esse­re adul­ti signi­fi­chi pro­prio questo.

Capi­to­lo 9

«In real­tà, ho appe­na smes­so» dis­si a Sarah.
«No, non l’hai fat­to» rispo­se «Ti stai sol­tan­to pren­den­do una pausa.»
(Dave, quan­do gli dis­si che smet­te­vo, si affret­tò a pre­ci­sa­re: «Non can­cel­la­re i tuoi per­so­nag­gi. Se vuoi con­ge­la­re l’account, bene. Fai una pau­sa, pen­sa­ci. Fin­ché non can­cel­li i per­so­nag­gi, tor­ne­rai qun­do sei pronto.»)
«Sì, ho chiu­so l’account l’altro giorno.»
«Cer­to» dis­se Sarah «Aspet­ta un paio di mesi. Tornerai.»
«Spe­ro di no.»
«Tor­ne­rai» mi disse.
Da quan­do ho smes­so, il mio tem­po libe­ro è più libe­ro, e sono sta­to costret­to a tro­va­re nuo­vi modi per pro­cra­sti­na­re il lavo­ro. Modi che non si por­ti­no con se uno stig­ma socia­le così for­te. Ho ini­zia­to a vede­re in giro la pub­bli­ci­tà del­la nuo­va espan­sio­ne, e descri­vo i miei sen­ti­men­ti nei suoi con­fron­ti come una “vaga nostal­gia”. Non voglio tor­nar­ci, sul serio.
Più tar­di, insie­me a tut­ti i col­le­ghi, ci tro­vam­mo in stra­da per anda­re a pran­zo. Sen­ti­vo Sarah par­la­re con un altro ragaz­zo. Lui le dis­se «Ho appe­na smes­so». «No, non l’hai fat­to» rispo­se lei. Il rifiu­to che Sarah oppo­ne­va alla nostra deci­sio­ne era rive­la­to­re: ci ver­go­gnia­mo del­la nostra con­dot­ta. O, alme­no, per me è così. Sono sta­to sot­to­po­sto ad un tale quan­ti­ta­ti­vo di osti­li­tà da par­te del pros­si­mo per le mie abi­tu­di­ni di gio­co — anche in modo non pale­se, come uno sguar­do o un com­men­to sar­ca­sti­co — che mi sono lascia­to influen­za­re. Abor­ro que­sto sde­gno; incar­no que­sto sde­gno. Dipin­go ritrat­ti al vetrio­lo dei miei ami­ci più cari, per­ché vedo rifles­si in loro gli aspet­ti che odio in me stes­so. Non so più come esse­re me stesso.

Capi­to­lo 10

«Ora, dim­mi tut­to quel­lo che sai su WoW» chie­si a Megan.
«Per­ché? Così mi puoi far fare la figu­ra dell’imbecille? Così puoi far sem­bra­re che mi oppon­ga ad una cosa di cui, in real­tà, non so niente?»
Megan è sul­la difen­si­va per­ché sa che anche io sono sul­la difensiva.
«Voglio sem­pli­ce­men­te saper­lo.» le dico.
Lei chiu­de il suo lap­top ed ema­na irri­ta­zio­ne nei miei confronti.
«È un gio­co di ruo­lo… online?»
«Cor­ret­to.»
«E devi sce­glie­re un ser­ver, e ci sono un muc­chio di ser­ver, e devi sce­glie­re quel­lo giu­sto per­ché se no non cono­sci nes­su­no, e puoi tra­sfe­ri­re i tuoi per­so­nag­gi da uno all’altro, ma devi ave­re qual­che tipo di pote­re arca­no per far­lo o voo­doo inter­net­ti­sti­co o sol­di o qual­co­sa del genere.»
«Sì, sono tut­ti mol­to simili.»
«Ed ini­zi, e devi fare que­ste mis­sio­ni, e la pri­ma è ammaz­za­re dei lupi, per­ché è la pri­ma che è capi­ta­ta a me.»
(Qui mi pen­to un pochi­no di aver­la spin­ta a pro­va­re il gio­co, anche sol­tan­to per un'ora)
«E quan­do arri­vi al livel­lo 70, puoi anda­re in un posto speciale…»
Par­la per un pò, per cin­que minu­ti, e toc­ca mol­ti aspet­ti del gio­co. Pote­va andar peg­gio. È la descri­zio­ne che dare­sti ad un prin­ci­pian­te, o a tua non­na, quan­do ti chie­de di che trat­ta WoW. Megan non cono­sce le spe­ci­fi­che del­le clas­si, o nien­te di tan­to intri­ca­to quan­to i nomi dei dun­geon o dei boss o cose del gene­re. Sono, in un cer­to sen­so, con­for­ta­to dal­lo sco­pri­re che sa di WoW più o meno quel che io so di cuci­to, il suo hob­by preferito.
«…e che sei diven­ta­to il Re degli Ogre.»
Que­sto è ciò che temo di WoW, il moti­vo per cui ho smes­so: gio­ca­re mi ren­de un orco, e, quan­do sono un orco, devo far fin­ta di esser­ne il re. Sci­vo­lo via dagli ami­ci, dal­la mia vita e dai miei pari. Vedo gli altri su Aze­roth e mi repu­to miglio­re di loro.
Que­sta è la veri­tà: non pos­so esse­re uno di loro. Con loro, espri­mo le par­ti peg­gio­ri di me stes­so. Sono irri­tan­te, gras­so ed anti­so­cia­le. Diven­ta­re uno di loro signi­fi­ca abban­do­na­re me stesso.
Que­sta è la veri­tà; sono uno di loro. Come loro, non miglio­re. Li amo, tut­ti, uno per uno. Irri­tan­ti, osses­si­vi, anti­so­cia­li. Sono me. Ed abban­do­nar­li signi­fi­ca abban­do­na­re me stesso.