15
Ott
2011

Fare Hip Hop ad Olbia, una scelta impossibile — Intervista a Salmo

Que­sto arti­co­lo è sta­to pub­bli­ca­to su Sar­de­gna 24 del 12/10/11

Dopo il suo esplo­si­vo debut­to con The Island Chain­saw Mas­sa­cre (pro­dot­to dal­la Kick Off! nel 2011), Sal­mo è diven­ta­to una del­le nuo­ve pro­mes­se dell’Hip Hop ita­lia­no. L’atmosfera del suo album è alie­na rispet­to ai cano­ni del rap: fon­de basi rit­mi­che che si ispi­ra­no al metal, alla drum n’ bass, all’elettronica, al rock n’ roll. In occa­sio­ne del riav­vio del suo tour ita­lia­no, abbia­mo inter­vi­sta­to que­sto poe­ta intro­spet­ti­vo, il cui vol­to è un teschio che sogghigna.

Qua­li sono le ori­gi­ni del tuo inte­res­se per l’Hip Hop?

E’ un gene­re che ho ini­zia­to a fre­quen­ta­re nel­la pri­ma ado­le­scen­za, quan­do ave­vo 13–14 anni. Ho ini­zia­to con un mio grup­po, i cui mem­bri si sono poi dedi­ca­ti ad altri pro­get­ti. Nel perio­do che va dal 2000 al 2005 ho rea­liz­za­to tre demo: “Pre­me­di­ta­zio­ne e Dolo”, “Sot­to Pel­le” e “Mr. Anti­pa­tia”. Oltre a que­sti, ho rea­liz­za­to altri set­te dischi con varie band non atti­nen­ti al rap, in cui ho avu­to modo di esplo­ra­re la musi­ca in tut­ti i suoi aspet­ti. Ero e sono osses­sio­na­to dal­la musi­ca e per que­sto, con il pas­sa­re degli anni, ho suo­na­to di tut­to: punk, sto­ner, cha cha cha e via dicendo.

Oltre ad esse­re un MC, sei anche un pro­dut­to­re musi­ca­le. Ti sei avval­so del­la col­la­bo­ra­zio­ne di altri musi­ci­sti per rea­liz­za­re il tuo pri­mo disco pro­fes­sio­na­le? Che risul­ta­ti ha ottenuto?

Il disco è inte­gral­men­te ope­ra mia: chi­tar­re, sequen­cer e tut­to il resto. Ora sto lavo­ran­do ad un secon­do CD, in cui col­la­bo­re­rò con pro­dut­to­ri di rilie­vo. Sarà inte­res­san­te con­fron­tar­mi con loro anche a livel­lo di com­po­si­zio­ne e non solo con le mie rime.  Per quan­to riguar­da l’esito del disco: è sta­to otti­mo. Quan­do lo rea­liz­zai, non pote­vo imma­gi­na­re un risul­ta­to del gene­re. L’ho idea­to e rea­liz­za­to men­tre ero in tour con un’altra band, i TOEDGEIN. Dopo aver con­clu­so i lavo­ri sul disco, l’ho but­ta­to in rete. E’ pia­ciu­to e da lì si è par­ti­ti. Ho già suo­na­to in parec­chie cit­tà ed ora mi tra­sfe­ri­rò tem­po­ra­nea­men­te a Mila­no per favo­ri­re la logi­sti­ca del tour, per­ché tra otto­bre e novem­bre ho mol­te date in quel­la zona. Sono mol­to sod­di­sfat­to di que­ste sera­te: non è suc­ces­sa nes­su­na tra­ge­dia e tut­to è fila­to per il meglio.

I tuoi video ed il tuo sito mostra­no il logo del­la Mache­te Pro­duc­tions. Cos’è?

Pri­ma di tut­to, sia­mo grup­po di ami­ci che con­ta otto ele­men­ti. La Mache­te è simi­le alle clas­si­che crew hip hop degli anni ’90, in cui si pote­va­no tro­va­re MC, esper­ti di brea­k­dan­ce, wri­ters e DJ. La dif­fe­ren­za è che ora il con­cet­to di crew si è evo­lu­to e con­tie­ne esper­ti in altre disci­pli­ne. Tra di noi ci sono anche illu­stra­to­ri, video­ma­ker e foto­gra­fi. Tut­ti col­la­bo­ra­no ai pro­dot­ti altrui, come una famiglia.

Tu sei cre­sciu­to ad Olbia. Que­sta cit­tà ha influen­za­to il tuo modo di approc­ciar­ti all’Hip Hop?

Sì, cer­to. Tut­ti i rap­per sono pro­fon­da­men­te influen­za­ti dal­la cit­tà in cui vivo­no. Nel caso spe­ci­fi­co di Olbia, una del­le influen­ze impor­tan­ti è dovu­to al fat­to che la cul­tu­ra Hip Hop qui non vi ha mai attec­chi­to: i gene­ri pre­do­mi­nan­ti sono il punk e il metal. Que­sto sta­to di cose fa sì che ci si tro­vi qua­si costret­ti alla con­ta­mi­na­zio­ne tra vari sti­li musi­ca­li, ed io cre­do sia un bene.

La tua musi­ca, i tuoi video ed il tuo “costu­me di sce­na” si richia­ma for­te­men­te ad un imma­gi­na­rio cine­ma­to­gra­fi­co hor­ror. Per­ché que­sta scel­ta? Ti sen­ti di far par­te del­la cor­ren­te di Hip Hop a tema “psi­chia­tri­co” (Psy­cho Realm e Gate­kee­paz, tan­to per fare un esem­pio USA ed uno ita­lia­no), che ha sem­pre adot­ta­to un impian­to imma­gi­ni­fi­co di que­sto tipo?

In real­tà, non è sta­ta una scel­ta, ma un per­cor­so natu­ra­le. Sono sem­pre sta­to un con­su­ma­to­re entu­sia­sta di cine­ma hor­ror a tre­cen­to­ses­san­ta gra­di: dal trash più spin­to a quel­lo raf­fi­na­to, alle pro­du­zio­ni sta­tu­ni­ten­si alla glo­rio­sa cine­ma­to­gra­fia hor­ror ita­lia­na degli anni ’70 e ’80. Uno dei miei auto­ri pre­di­let­ti è Sam Rai­mi con la sua Arma­ta del­le Tene­bre. Det­to que­sto, non mi sen­to di far par­te di nes­su­na cor­ren­te. Se pro­prio è neces­sa­rio, lascio che sia­no gli altri ad eti­chet­ta­re il mio lavo­ro come meglio credono.

La don­na non è mai sta­ta trat­ta­ta con i guan­ti bian­chi dal mon­do dell’Hip Hop. Anche tu, nel video del tuo sin­go­lo Yoko Ono, ne assas­si­ni addi­rit­tu­ra tre. Pen­si che que­sto atteg­gia­men­to sia un cano­ne del gene­re (e quin­di puro intrat­te­ni­men­to) o riflet­te le espe­rien­ze nega­ti­ve dei vari rap­per in ambi­to relazionale?

Per quel che riguar­da Yoko Ono, l’accento dovreb­be esse­re posto su un’altro aspet­to: in quel pez­zo ho volu­to dedi­car­mi al rac­con­to di una sto­ria, che aves­se un ini­zio, uno svi­lup­po ed una fine. Non acca­de con gran­dis­si­ma fre­quen­za nell’Hip Hop. Il trat­ta­men­to posi­ti­vo o nega­ti­vo del­le don­ne dipen­de dal tipo di sto­ria che si vuo­le rac­con­ta­re, e non ha nul­la a che fare con il maschi­li­smo o una pre­sun­ta osti­li­tà del can­tan­te. Dopo­tut­to, Yoko Ono è solo una sto­ria, una can­zo­ne, e non va pre­sa alla lettera.